domenica 14 giugno 2009

...messaggi nella bottiglia...

Tettonica quaternaria nell'Appennino centrale e caratterizzazione
dell'attività di faglie nel Pleistocene superiore-Olocene
F. Galadini, P. Messina, A. Sposato
CNR - Istituto di Ricerca sulla Tettonica Recente, Roma (e-mail: galad@irtr.rm.cnr.it)
1 Introduzione
Nell'ambito delle attività del GNDT, l'IRTR ha svolto ricerche finalizzate alla
individuazione e caratterizzazione dell'attività di faglie nell'Appennino centrale. A
tale scopo sono state portate a termine analisi geomorfologiche, stratigrafiche,
geologico strutturali e paleosismologiche. Le indagini hanno consentito di
quantificare l'attività delle faglie analizzate in termini di ratei di movimento,
cinematica, tempi di ricorrenza per terremoti di elevata magnitudo, ecc.
La definizione di un quadro strutturale riferibile al regime tettonico in atto è
altresì il risultato di anni di ricerche finalizzate alla ricostruzione dell'evoluzione
geologica e tettonica quaternaria in varie aree dell'Appennino centrale. Queste
ricerche hanno messo in luce la complessità della storia tettonica quaternaria
dell'Appennino centrale, caratterizzata da un evidente cambiamento cinematico nel
Pleistocene. E' probabilmente a causa di questa recente variazione del regime
tettonico che alcune faglie ora non più attive presentano ancora le caratteristiche
morfologiche tipiche di quelle attive, a fronte della minore "visibilità" di faglie attive
da non più di alcune centinaia di migliaia di anni.
Di seguito vengono proposti i risultati delle ricerche svolte in aree significative
dell'Appennino centrale e la sintesi a scala regionale dell'evoluzione tettonica
quaternaria. Si tenga presente che gli studi eseguiti nella zona umbro-marchigiana
interessata dalla sequenza sismica del 1997-98 sono stati oggetto di un apposito
lavoro (Messina et al., in stampa) eseguito nell'ambito del progetto 6a.2 (responsabile
L. Peruzza) a cui si rimanda per i dettagli.
2 Faglia dei Monti della Laga
Questa faglia normale (la cui attività recente è già stata ipotizzata nei lavori di
Calamita e Pizzi, 1992 e Cello et al., 1997), lunga 30 km e con direzione NW-SE è
stata responsabile della formazione di due depressioni intermontane, i bacini di
Amatrice e Campotosto.
L'intero rilievo è costituito da rocce argilloso-arenacee della formazione della
Laga ed il versante, nonostante la litologia non "conservativa" è caratterizzato dalla
presenza di una scarpata di faglia lungo la quale è esposto (nel settore più
meridionale) il contatto tra il substrato argilloso e depositi detritico-colluviali
deformati.
Per quanto concerne l'attività quaternaria, le porzioni corrispondenti ai bacini
di Amatrice e di Campotosto sembrano essere state caratterizzate da una differente
storia tettonica. Per quanto riguarda il primo dei bacini menzionati, la sua evoluzione
nel Pleistocene inferiore (testimoniata dalla deposizione di sedimenti lacustri ed
alluvionali; Cacciuni et al., 1995) è da riferire all'attività della struttura bordiera
2
durante il Quaternario inferiore. I depositi pleistocenici più antichi sono dislocati e
basculati (Cacciuni et al., 1995), mentre il top della successione del Pleistocene
inferiore è interessato da una dislocazione verticale dovuta all'attività della faglia
della Laga pari a soli 20-30 m. Ciò suggerisce che l'attività della faglia in questo
settore sia terminata durante il Pleistocene, o sia caratterizzata da ratei di movimento
estremamente ridotti.
Fig. 1 - a) Schema geomorfologico dell'area di Campotosto; b) profilo topografico longitudinale al
terrazzo dell'area evidenziata con il numero 1 nella figura a.
La porzione di Campotosto della faglia della Laga borda un bacino nel quale
sono stati osservati depositi alluvionali non più antichi del Pleistocene superiore, sui
quali sono sovrimposti estesi terrazzi di erosione (Fig. 1). La mancanza di depositi
riferibili al Quaternario antico probabilmente indica che questa porzione del bacino si
è formata ed evoluta in tempi successivi al bacino di Amatrice. Depositi e forme del
Pleistocene superiore-Olocene che interessano le valli secondarie che attraversano la
3
faglia della Laga sono dislocati. La dislocazione è facilmente visibile su un terrazzo
(Fig. 1b) la cui formazione è avvenuta dopo la deposizione di sedimenti lacustri
datati a 33120±470 BP (età radiocarbonio) e prima della deposizione di sedimenti
alluvionali datati a 9824-9045 BC (età radiocarbonio calibrata). Questo terrazzo,
dislocato da tre piani di taglio paralleli facenti parte della struttura in oggetto,
presenta un rigetto verticale pari a 21 m.
A sud del bacino di Campotosto, lungo il fiume Vomano, non sono stati
osservati depositi quaternari. Tuttavia, lembi di superfici relitte interessano la zona di
hangingwall della faglia. Queste superfici sono pressoché assenti nella parte di
footwall, sebbene la litologia a cavallo della faglia sia praticamente la stessa. Questa
diversità è probabilmente il risultato della continua subsidenza relativa del settore
ovest rispetto al settore est, in sollevamento relativo. Considerando che la formazione
di terrazzi nella parte di hangingwall è occorsa anche in tempi recenti (probabilmente
durante il Pleistocene superiore, considerando che il terrazzo più recente è posto
pochi metri al di sopra dell'attuale fondovalle), i movimenti della faglia che hanno
condizionato l'evoluzione geologica del settore della valle del Vomano devono essere
considerati persistenti anche durante il tardoquaternario.
Dati sulle dislocazioni recenti, elaborati da Galadini e Galli (in stampa),
permettono di valutare un rateo minimo di movimento verticale pari a 0.30-0.36
mm/a.
I dati disponibili, pertanto, evidenziano che sensibili dislocazioni di superficie
interessano la faglia della Laga nel settore meridionale durante il Pleistocene
superiore-Olocene e non nel settore corrispondente al bacino di Amatrice. Evidenze
di attività nel periodo sopra indicato riguardano perciò una porzione di lunghezza
pari a circa 20 km della faglia in oggetto.
3 Sistema di faglie dell'alta valle dell'Aterno
Il sistema è composto da quattro segmenti di faglia (M. Pettino, M. Marine,
Capitignano e San Giovanni), disposti en-echelon, tre dei quali sono responsabili
dell'evoluzione di altrettanti bacini (rispettivamente bacino di L'Aquila, di Pizzoli-
Arischia e di Montereale; Fig. 2).
La porzione nord-occidentale della faglia di Capitignano (lunghezza di circa 8
km) mette a contatto il flysch argilloso-arenaceo miocenico con depositi di versante e
colluvi non datati. Nonostante sia impostata su rocce argilloso-arenacee facilmente
erodibili, la scarpata di faglia si presenta estremamente evidente, a testimonianza
dell'attività recente di questa struttura. La porzione sud-orientale (lunghezza pari a
circa 10 km) interessa il substrato carbonatico miocenico ma, al contrario della
porzione nord-occidentale, non presenta evidenze di attività recente e non interessa,
con dislocazioni, i depositi quaternari. Recenti studi sulle successioni di superfici
relitte plio-quaternarie presenti estesamente nell'area confermano che a questa
porzione della faglia di Capitignano non è riferibile significativa attività nel corso del
Quaternario (Basili, 1999).
4
Le faglie più meridionali (M.
Marine e M. Pettino) sono caratterizzate
da evidenti scarpate di faglia su rocce
carbonatiche. Il piano di faglia, quasi
sempre esposto lungo la scarpata e
sovente accompagnato da un'ampia
fascia cataclastica, mette in contatto il
substrato carbonatico con i depositi di
versante stratificati. Le strie presenti sul
piano di faglia mostrano movimenti
verticali lungo la faglia del M. Pettino e
movimenti leggermente obliqui sui
piani di faglia del M. Marine. In alcuni
casi i depositi di versante, datati
31.710±760 e 23.330±300 con il
metodo del radiocarbonio, sono
chiaramente dislocati, a conferma
dell'attività almeno suprapleistocenica
già indicata da Blumetti (1995).
La faglia di M. Marine è
caratterizzata da un'evoluzione simile a
quella di Capitignano. L'intera faglia è
infatti lunga circa 14 km, ma solo la sua
porzione sud-orientale (circa 9 km)
presenta evidenze di movimenti recenti.
Anche in questo caso l'analisi delle
superfici relitte mostra che la porzione
nord-occidentale della faglia non presenta significative dislocazioni quaternarie,
mentre la porzione sud-orientale, responsabile della formazione e dell'evoluzione del
bacino di Arischia, è stata attiva anche in tempi storici (Blumetti, 1995).
L'attività recente della faglia di San Giovanni, ubicata tra le faglie di
Capitignano e M. Marine, va riferita esclusivamente alla porzione più meridionale
della struttura, lungo la quale brecce riferibili alla formazione delle Brecce di
Bisegna (Pleistocene inferiore, parte alta; Bosi e Messina, 1991) sono state deformate
e basculate. Verso nord-ovest la faglia non interessa né i depositi recenti del bacino
di Montereale né un esteso paleo-paesaggio (presente a nord di Montereale) più
antico della formazione del bacino stesso.
In base alla dislocazione dei depositi del Pleistocene superiore da parte della
faglia di M. Marine, Galadini e Galli (in stampa) hanno calcolato un rateo minimo di
movimento verticale pari a 0.25-0.43 mm/a. Per la faglia del M. Pettino la
dislocazione di un terrazzo riferibile al Pleistocene superiore consente di ipotizzare
un rateo di movimento verticale pari 0.47-0.86 mm/anno (Galadini e Galli, in
stampa).
Fig. 2 - Schema strutturale relativo alle faglie
quaternarie dell'alta valle dell'Aterno.
5
4 Allineamento di faglie Vallelonga-Valle del Salto
Il settore occidentale del bacino del Fucino e l'area a NW di questo sono
interessati da quattro faglie allineate, con direzione NW-SE: le faglie della
Vallelonga, di Trasacco, dei Monti della Duchessa e della valle del Salto. Tutte le
strutture menzionate sono caratterizzate da attività quaternaria.
La faglia della Vallelonga è stata responsabile dell'evoluzione quaternaria della
depressione da essa bordata, sostanzialmente un'ampia valle che drena verso la Piana
del Fucino. In base a dati geofisici (Ente per la Valorizzazione del Fucino, 1957), la
depressione è riempita da circa 150-200 metri di depositi continentali e la geometria
del bacino può essere assimilata ad un semi-graben. La faglia è tuttavia sigillata da
depositi alluvionali del Pleistocene superiore nel settore settentrionale (Giraudi,
1988). Inoltre, depositi di conoide alluvionale probabilmente riferibili al Pleistocene
medio, alimentati dal versante sinistro della valle, mostrano una giacitura primaria
senza alcuna evidenza di deformazione. Considerando che questi depositi sono stati
osservati nella porzione più stretta della depressione, in prossimità dell'espressione
superficiale della faglia, il ritrovamento degli stessi in giacitura primaria è un
ulteriore indizio dell'assenza di attività tardoquaternaria lungo la faglia della
Vallelonga.
A nord della Piana del Fucino, la faglia dei Monti della Duchessa è stata
responsabile dell'evoluzione strutturale del bacino di Corvaro durante il Pleistocene
inferiore (Bosi e Federici, 1993). Lembi di superfici relitte sono notevolmente diffusi
nell'area interessata dalla faglia, sia nel footwall che nell'hangingwall. Tali superfici
rappresentano porzioni di terrazzi di erosione che interessano sia il substrato marino
(carbonatico e argilloso-arenaceo) che i depositi continentali plio-quaternari. Chiarini
et al. (1997) hanno cartografato le superfici relitte nell'intero settore dei Monti della
Duchessa ed hanno ipotizzato che la faglia in oggetto è stata responsabile della
dislocazione di superfici riferibili al Pliocene-Pleistocene inferiore ma è sigillata da
quelle del Pleistocene medio. In base a questi dati gli autori hanno concluso che
l'attività della faglia è terminata all'inizio o prima del Pleistocene medio.
La faglia della valle del Salto ha condizionato l'evoluzione del bacino ad essa
adiacente dal Pliocene; sedimenti continentali pliocenici e quaternari depostisi all'interno
del bacino sono chiaramente dislocati. Per quanto riguarda il tardoquaternario,
evidenze di attività recente sono state osservate soltanto lungo una porzione di
faglia lunga circa 4-5 km, in corrispondenza di una vistosa scarpata di faglia in roccia
già segnalata da Bosi (1975) e Bosi et al. (1993). L'evidenza dell'attività recente è,
tuttavia, riferibile agli effetti di movimenti gravitativi profondi di versante (Fig. 3),
responsabili del basculamento di depositi di versante. Come risultato della deformazione
gravitativa, brecce del Pleistocene inferiore e superiore mostrano pendenze
verso la faglia fino a 45°. Per quanto riguarda le altre porzioni della struttura, la presenza
di sporadiche scarpate di faglia riferibili a processi di morfoselezione e
l'assenza di dislocazioni su depositi tardoquaternari consentono di considerare non
attivo questo segmento di faglia.
I dati paleosismologici pubblicati da Galadini e Galli (1999) evidenziano invece
un'attività persistente della faglia di Trasacco nel corso dell'Olocene; ad essa è
6
riferibile fagliazione di
superficie legata al terremoto
del 1915 (Ms=7.0 in
Camassi e Stucchi, 1997).
In base ai dati paleosismologici,
la faglia è responsabile
della dislocazione
della successione
lacustre recente del bacino
del Fucino, depositata tra
la parte finale del Pleistocene
superiore e il XIX
secolo (prima del prosciugamento
del lago) e di un
canale di drenaggio di età
romana.
I dati acquisiti sull'allineamento
di faglie tra
la Vallelonga e la Valle
del Salto (lungo complessivamente
circa 85 km) evidenziano che soltanto una porzione minore di questo (faglia
di Trasacco, lunga ca. 7 km) può essere considerata attiva nel Pleistocene superiore-
Olocene. Il termine dell'attività delle altre strutture è probabilmente da riferire
al Pleistocene medio, in base alle osservazioni di Chiarini et al. (1997) sui Monti
della Duchessa e in base a dati sull'evoluzione quaternaria dell'area marsicana (vedi
sotto). La persistenza dell'attività lungo la faglia di Trasacco è legata al ruolo di faglia
secondaria che essa ricopre nell'architettura del bacino del Fucino (Galadini e
Messina, 1994). Per questa faglia è stato stimato un rateo di movimento verticale pari
a 0.27-0.29 mm/a, simile a quello delle strutture principali che hanno guidato l'evoluzione
del bacino e che lo bordano verso est. Questo dato testimonia che la faglia di
Trasacco contribuisce significativamente alla deformazione estensionale complessiva
del bacino del Fucino.
5 Sistema di faglie dell'area di Colfiorito (in coll. con P. Galli, Servizio Sismico
Nazionale)
I bacini di Colfiorito e Cesi - San Martino sono caratterizzati dalla presenza,
sul bordo orientale, di due importanti strutture tettoniche (lunghe rispettivamente 8 e
7 chilometri) considerate attive e capaci di produrre rotture superficiali (Cello et al.,
1997).
Durante la sequenza sismica che da Settembre 1997 ad Aprile 1998 ha colpito
una vasta area dell'Appennino umbro-marchigiano, ricercatori di diverse istituzioni
scientifiche hanno eseguito rilievi di campagna al fine di individuare eventuali rotture
di superficie manifestatesi nella zona epicentrale ed in particolare lungo le faglie
che bordano i suddetti bacini. Le rotture superficiali individuate sono state interpre-
Fig. 3 - Schema geomorfologico della valle del Salto nell'area
di Fiamignano.
7
tate da alcuni autori come il risultato di fenomeni gravitativi, da altri come fenomeni
di origine tettonica (Basili et al., 1998; Cello et al., 1998; Cinti et al., 1999).
Gli studi geologici e geomorfologici portati recentemente a termine in queste
aree hanno permesso di ricostruire l'evoluzione geologica e tettonica quaternaria e
sono risultati determinanti per delineare il quadro sismotettonico in cui è inserita
l'attuale sismicità (Messina et al., in stampa).
Sono state evidenziate due differenti successioni di superfici relitte che
individuano chiaramente due settori separati tra loro dalle faglie poste al margine
orientale dei bacini intermontani. Le differenti caratteristiche geomorfologiche dei
due settori sono da imputare all'attività delle faglie bordiere dei bacini fino al
Pleistocene inferiore – Pleistocene medio parte bassa.
Nel bacino di Cesi - San Martino i depositi attribuiti al Pleistocene inferiore
(Ficcarelli e Mazza, 1990; Ficcarelli e Silvestrini, 1991; Ficcarelli et al., 1990 e
1997) sono deformati e basculati verso est a causa dell'attività della faglia che borda
ad oriente il bacino stesso. I successivi depositi continentali, a partire da quelli
riferibili al Pleistocene medio (424 K anni - metodo Ar/Ar; Ficcarelli et al.,1997),
non mostrano invece deformazioni significative.
Nel bacino di Colfiorito i dati di sottosuolo evidenziano la presenza di due
depressioni, la maggiore delle quali è spostata verso ovest di alcuni chilometri
rispetto alla faglia principale. Ciò indica una geometria sensibilmente diversa e più
complessa di quella che caratterizza i semi-graben tipici dell'Italia centrale, la cui
evoluzione tettonica è da imputare all'attività di faglie bordiere generalmente
immergenti verso sud-ovest. Lungo il bordo del bacino sono presenti due terrazzi (il
più antico ha un'età di 24.150±120 anni B.P. - datazione radiocarbonio) che si
estendono alle stesse quote su un’area piuttosto ampia, e che sigillano la faglia che
borda il bacino sul lato orientale. Questi dati consentono di escludere che
successivamente a circa 24.000 anni ci siano state significative rotture superficiali
connesse con l'attività tettonica.
Un punto fondamentale è rappresentato dall'origine della sella che separa il
bacino di Colfiorito dalla valle del Chienti. Essa è stata in passato ritenuta l'evidenza
più diretta dell'attività recente della faglia che borda il bacino verso est. Recenti scavi
eseguiti per la realizzazione di opere idrauliche hanno invece evidenziato che la
formazione della soglia orientale del bacino è in gran parte da riferire alla presenza di
un imponente accumulo franoso.
I dati disponibili consentono di ipotizzare che lungo le faglie che bordano i bacini
di Colfiorito e Cesi - San Martino si è verificata una diminuzione dell’attività
tettonica a partire dal Pleistocene medio. Infatti, mentre sino al Pleistocene medio
l'attività delle faglie ha direttamente coinvolto i depositi continentali con dislocazioni
e fenomeni di basculamento, a partire dal Pleistocene medio e durante il Pleistocene
superiore la deformazione tettonica si è manifestata solo attraverso deformazioni
continue che hanno comportato il ribassamento delle porzioni più interne dei bacini.
La deformazione sul lungo periodo è in accordo con le deformazioni osservate sia
con livellazioni geodetiche (Basili e Meghraoui, 1999) che con analisi di interferometria
radar (Stramondo et al., 1999) durante e dopo la sequenza sismica del 97/98,
8
le quali evidenziano il ribassamento di alcuni centimetri delle zone più depresse dei
bacini.
Pertanto, i dati acquisiti fanno ipotizzare che l'evoluzione tettonica recente
dell’area sia il risultato dell’effetto cumulato di eventi sismici simili a quelli del
97/98. Per quanto concerne aspetti di pericolosità sismica, gli studi geologici
consentono di attribuire alle strutture indagate una magnitudo massima attesa non
superiore a 6.
6 Cambiamento del regime tettonico nei settori marsicano e aquilano
dell'Appennino abruzzese durante il Pleistocene
I dati acquisiti nel corso di ricerche pluriennali in questo settore dell'Appennino
centrale, hanno evidenziato un
probabile cambiamento del
regime tettonico durante il
Pleistocene (Galadini, 1999).
I dati disponibili mettono
in luce le nuove caratteristiche
della cinematica del settore
investigato dell'Appennino
centrale a partire dal Pleistocene
medio. Alcune faglie normali
con direzione NW-SE (faglie
della Valle di Liri e della Valle
di Salto) non mostrano evidenze
di significative dislocazioni in
superficie dall'inizio del
Pleistocene medio (Carrara et
al., 1995; Chiarini et al., 1997).
Contemporaneamente, faglie con
direzione NW-SE e NNW-SSE
risultano caratterizzate da
movimenti da orizzontali sinistri
a obliqui sinistri (Fig. 4).
La componente orizzontale
del movimento decresce da S a N; le faglie dell'alta valle del Sangro mostrano
infatti una cinematica trascorrente sinistra che interessa depositi riferibili alla parte
alta del Pleistocene inferiore (Galadini e Messina, 1993) mentre la faglia di M.
Marine (sistema dell'alta valle dell'Aterno) è caratterizzata da una minore
componente obliqua sinistra (Galadini, 1999). Tra queste due strutture, la faglia di
Ovindoli - Pezza presenta una cinematica obliqua sinistra con rapporto di circa 1 a 1
tra la componente orizzontale e quella verticale (Giraudi, 1995).
Fig. 4 - Faglie ad attività quaternaria nei settori
marsicano ed aquilano dell'Appennino centrale.
9
A partire dal Pleistocene medio, invece, le faglie con direzione da N125 ad EW
sono state caratterizzate da una cinematica esclusivamente normale, testimoniata
(oltre che da indicatori cinematici sui
piani di faglia) dai massimi valori di
rigetto verticale in corrispondenza di
bacini intermontani (Pescasseroli, Piano
di Pezza, L'Aquila).
L'evoluzione strutturale delineata
rappresenta uno degli ostacoli principali
ad una rapida definizione del quadro
strutturale relativo alla tettonica attiva in
Appennino centrale. L'attività durante il
Pliocene-Pleistocene inferiore di faglie
non più attive generalmente impostate su
substrato carbonatico è all'origine della
persistenza di forme tipiche di contesti
tettonici ad attività recente. Per contro,
l'attuale regime tettonico, impostatosi da
alcune centinaia di migliaia di anni, non
ha ancora prodotto forme e lasciato segni
geologici di immediata individuazione
che consentano di differenziare le
strutture attive da quelle inattive.
Dal punto di vista metodologico, i
risultati ottenuti confermano che
l'esclusivo ricorso ad osservazioni di tipo
morfologico (ad esempio la presenza di
evidenti scarpate di faglia in roccia) può
spesso risultare fuorviante nella definizione dell'attività recente delle faglie. A parere
degli scriventi, infatti, solo l'integrazione di osservazioni stratigrafiche,
geomorfologiche e strutturali finalizzate alla ricostruzione dell'evoluzione geologica
e tettonica che comprenda un arco di tempo sufficientemente ampio (possibilmente
l'intero Quaternario) consente di giungere a definire un attendibile schema strutturale
relativo al regime tettonico in atto.
7 Faglie attive nell'Appennino centrale
La sintesi delle indagini geologiche, geomorfologiche e strutturali, integrate
con i dati di analisi paleosismologiche effettuate dall'IRTR in collaborazione con il
Servizio Sismico Nazionale (P. Galli) e disponibili in letteratura è stata elaborata da
Galadini e Galli (in stampa). La Figura 5 e la Tabella 1, prese dal citato lavoro,
sintetizzano le conoscenze sulle caratteristiche geometriche e cinematiche delle
faglie attive dell'Appennino centrale.
Fig. 5 - Faglie attive nel Pleistocene superiore-
Olocene nell'Appennino centrale. Per la
denominazione delle faglie ed i parametri
caratterizzanti la loro attività si veda la tabella
1.
10
FAGLIA
Lunghezza del
sistema di faglia
Rateo di movimento
verticale
(mm/a)
Rateo di movimento
verticale minimo
(mm/a)
Rateo di movimento
verticale massimo
(mm/a)
Intervallo cronologico
(età riportata-Presente)
Intervallo di ricorrenza di
eventi di fagliazione
(anni)
Intervallo temporale trascorso
dall'ultimo evento di M=6.5 -7.0
(anni)
M. Vettore (1) 18 0.25-0.3 12000 BP =1,650
Norcia (2) 27 0.2 0.1 Ma 296 (al 1999)
Laga (3) 18 0.7 -0.9 1 0.3 -0.362
120000-30000 BP
26395-6175 a.C.
>1,000
Alta valle dell'Aterno (4) 25 0.47-0.86 0.25-0.43 31710±760 BP
23330±300 BP
296 (al 1999)
Assergi (5) 21 >1,000?
M. Cappucciata-
M.S.Vito, Campo Imperatore (6) 30 0.67-1 18000-13000 BP 2,500-7,000 >1,000
Campo Felice-Colle Cerasitto (7) 16 1.1 1 0.8 -1.3 2
118000 BP
20.25 Ma
650 (al 1999) se responsabile del
terremoto del 1349
Ovindoli-Pezza (8) 12-20
0.8 -1.2 1
1.2 -2.3 2
17000 BP
27000-10000 BP
2,760-3,200 700-1130
Media valle dell'Aterno (9) 21 0.33-0.43 1.5 Ma >1,000
M. Morrone (10) 20 0.5 -0.66 0.9 -1.0 Ma
1800? in base a dati
archeosismologici
Fucino (11) 33 0.7 -0.8 1 0.4 -0.5 2
0.37-0.433
10.8 -1 Ma
219100±650 BP
30.4 Ma
1,400-2,600 84 (al 1999)
Aremogna-Cinquemiglia (12) 16 0.3 -0.5 112000-6500 BP 1,000-4,000 2800-970
Alta valle del Sangro (13) 20 0.17-0.21 0.8 -1 Ma =1,000
Tab. 1 - Faglie attive nell'Appennino centrale e relativi parametri caratterizzanti l'attività. La geometria di superficie è desumibile dalla Figura 5.
11
Bibliografia
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